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Lavoro precario in Italia: crescono gli occupati a rischio povertà

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Secondo i dati Eurostat nel 2016 l’11,7% degli occupati in Italia, quasi uno su 8, era a rischio povertà. Cresce inoltre il lavoro precario e part time e aumenta il fenomeno dei “working poor”, ovvero di coloro che pur avendo un’occupazione sono a rischio povertà. La percentuale è aumentata rispetto al 2015 (1,5%) e si fissa largamente al di sopra della media europea (con il 9,6% degli occupati).

Alle stesse conclusioni è arrivato anche uno studio della Cgil che, ha evidenziato la crescita del fenomeno. Peggiora, infatti, la qualità dell’occupazione in Italia e a fine 2017 è stato toccato il record delle persone in disagio che sono oltre 4,5 milioni. Con i dovuti distinguo, il dato italiano sui lavoratori a rischio povertà è tra i più alti in Ue. Peggio di noi solo Romania, Grecia, Spagna e Lussemburgo.

Tornando ad Eurostat, il valore del rischio sarebbe strettamente legato al tipo di contratto con un dato complessivo doppio per coloro che lavorano part time (15,8%) rispetto a quelli che lavorano a tempo pieno (7,8%) e almeno tre volte più alto nel complesso tra coloro che hanno un impiego temporaneo (16,2%) rispetto a quelli con un contratto a tempo indeterminato (5,8%).

Gli uomini risultano più esposti al rischio povertà (10%) rispetto alle donne (9,1%). In Italia per chi lavora part time il rischio di povertà è del 19,9% (uno su cinque) in crescita di quasi cinque punti e mezzo rispetto al 2010, a fronte del 10% per chi lavora con un contratto a tempo pieno.

I lavoratori dipendenti con un contratto a tempo indeterminato a rischio povertà sono il 7,5%, in aumento dal 6,7% del 2010. Dati decisamente maggiori nel caso di lavoratori con contratto temporaneo, con picchi del 20,5% a fronte del 16,2% in Ue.

Per il presidente della Fondazione Di Vittorio, Fulvio Fammoni, “il numero totale degli occupati, pur importante, rappresenta un’immagine molto parziale della condizione del lavoro in Italia, dove la qualità dell’occupazione è in progressivo e consistente peggioramento. È evidente dai dati, che la ripresa non è in grado di generare occupazione quantitativamente e qualitativamente adeguata, con una maggioranza di imprese che scommette prevalentemente su un futuro a breve e su competizione di costo. Come pure è evidente che è necessario intervenire sulle attuali norme legislative che regolano il mercato del lavoro che incidono in modo negativo sulla qualità del lavoro stesso”.

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