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Manovra, se l’Iva sale consumi al collasso

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Un eventuale aumento dell’Iva inciderà sulla spesa degli italiani e sul Pil. Se il governo decidesse di innalzare le aliquote come da indicazioni europee, perderemmo a regime 8,2 miliardi di consumi: si tratta di circa 350 euro di spesa in meno a famiglia. Sul prodotto interno lordo, invece, l’impatto negativo ammonterebbe a -5 miliardi di euro. Questo quanto evidenzia una simulazione di Confesercenti, condotta da Ref Ricerche. L’aumento dell’Iva – secondo la ricerca – penalizzerebbe i consumatori italiani anche rispetto al quadro europeo.Dal punto di vista dell’imposizione sui consumi, l’Italia si colloca tra le prime posizioni nel panorama internazionale, seconda solo alla Svezia, paese noto per l’elevata pressione fiscale. La simulazione si muove dall’ipotesi di un aumento di 3 punti all’aliquota agevolata al 10%, che passerebbe quindi al 13%, e di un punto sull’aliquota super-agevolata, che salirebbe dal 4 al 5%, il valore minimo che la Commissione Europea raccomanda ai paesi dell’Unione. Gli effetti sulla crescita della nostra economia sarebbero dunque significativi.

In particolare, sulla base delle relazioni storiche,  si stima un effetto negativo in termini di Pil del -0,3% a regime. Il calo è legato in larga parte all’impatto della misura su inflazione e consumi. L’effetto atteso sui prezzi, infatti, è di un aumento dello 0,7%. Una ”stangata” che, secondo il rapporto, “si trasformerebbe quasi completamente in contrazione di spesa, anche considerando che le due aliquote interessano molti servizi e generi di largo consumo, colpendo anche le fasce più deboli della popolazione”. Tra i prodotti interessati dall’incremento di imposizione fiscale ci sarebbero, infatti, beni alimentari di prima necessità (carne, pesce uova e latte) ma anche servizi di ristorazione e turistici e medicinali per uso umano e veterinario. L’aumento dell’Iva penalizzerebbe i consumatori italiani anche nel confronto europeo. Dal punto di vista dell’imposizione sui consumi, l’Italia si colloca tra le prime posizioni nel panorama internazionale, seconda solo alla Svezia, paese noto per l’elevata pressione fiscale. Sommando la tassazione dei consumi nelle forme vigenti oggi, si ottiene per l’Italia un valore dell’11,7% del Pil, in salita dal 10,3 registrato nel 2008. Che si confronta con l’11% della Francia, fino al ben più modesto 9,5% osservato in Spagna.

“L’aumento dell’Iva danneggerà i consumi e la crescita, per questo riteniamo che sia da evitare assolutamente – afferma Massimo Vivoli, presidente di Confesercenti -. La pressione fiscale sui consumi in Italia è già molto alta, e la ripresa iniziata nel 2015 si è già indebolita lo scorso anno. Alzare ancora il livello di imposizione porterà inevitabilmente a un’accelerazione dell’inflazione, con conseguente perdita del potere d’acquisto delle famiglie e un’ulteriore riduzione dei consumi. L’effetto negativo sulla crescita potrebbe portare anche a un gettito fiscale aggiuntivo minore delle attese, oltre alla chiusura di un numero oscillante tra le 5 e le 10mila imprese del commercio e del turismo”.

LA POSIZIONE DELLA CGIA
L’ufficio studi di Mestre è contrario all’aumento dell’Iva per finanziare la riduzione del cuneo fiscale poiché si tratta di “una operazione non a somma zero”. Se a seguito di un’eventuale riduzione del costo del lavoro – osserva – i vantaggi economici ricadrebbero su imprese e/o lavoratori dipendenti, il rincaro dell’Iva, invece, lo pagherebbero tutti. In particolar modo, i più deboli – come i disoccupati, gli inattivi e i pensionati – che dal taglio delle tasse sul lavoro non beneficerebbero, almeno direttamente, di alcun vantaggio. Una ipotesi, quella dello scambio “più Iva meno cuneo fiscale”, che sta prendendo sempre più forma – sostiene la Cgia – anche perché Bruxelles chiede da tempo all’Italia di equilibrare meglio il carico fiscale attraverso la riduzione delle imposte dirette e un corrispondente innalzamento di quelle indirette.

La penisola, segnala l’ufficio studi di Mestre – è tra i principali paesi dell’area euro ad avere già l’aliquota ordinaria Iva più alta. Se da noi è al 22%, in Spagna è al 21, in Francia al 20 e in Germania al 19. I più penalizzati da un eventuale aumento dell’Iva sarebbero i percettori di redditi più alti, visto che a una maggiore disponibilità economica si accompagna una più elevata capacità di spesa. La misurazione più corretta, tuttavia, si ottiene calcolando l’incidenza percentuale dell’aumento dell’Iva sulla retribuzione netta di un capo famiglia. Adottando questa metodologia, l’aggravio più pesante interesserebbe i percettori di redditi bassi e, a parità di reddito, le famiglie più numerose. Con un incremento di un punto di Iva dal 22 al 23%, ad esempio, una famiglia di 3/4 persone subirebbe un aumento di imposta di circa 100 euro all’anno che, ovviamente, avrebbe delle ripercussioni negative sui consumi interni del paese che costituiscono la componente più importante del nostro Pil.

“Vista la situazione dei nostri conti pubblici – rileva Paolo Zabeo della Cgia – è molto probabile che il Governo non sarà in grado di recuperare entro la fine di quest”anno tutti i 19,5 miliardi necessari per evitare che, dal 2018, l”aliquota Iva del 10 passi al 13 e quella del 22 al 25%. Ricordo che un aumento di un punto dell”aliquota ridotta costa agli italiani poco più di 2 miliardi e quella ordinaria 4. Pertanto, non è da escludere che dei 19,5 miliardi l”esecutivo sia in grado di sterilizzarne solo una parte, almeno 14-15. E visto che la spesa corrente al netto degli interessi è destinata ad aumentare ancora, la quota rimanente dovrà essere recuperata con nuove entrate, con il ritocco, ad esempio, di un punto di entrambe le aliquote Iva”.  E per sopire le critiche, anche in vista delle nuove elezioni politiche che ormai si terranno l”anno prossimo, è quasi certo che una parte di questo nuovo gettito andrà a finanziare lariduzione del cuneo fiscale. Una misura che il Premier Gentiloni ha annunciato di voler approvare. Ovviamente, tengono a precisare dalla CGIA, siamo nel campo delle ipotesi, anche se le indiscrezioni apparse sui media in questi giorni lasciano intravvedere un quadro generale molto prossimo a questo.  “Di fronte a una crescita economica ancora molto timida e incerta spiega Renato Mason, segretario Cgia -, l”eventuale aumento dell”Iva condizionerebbe negativamente i consumi interni e conseguentemente tutta l”economia, penalizzando in particolar modo le famiglie meno abbienti”. “Oltre alle famiglie più povere – conclude Mason – a essere penalizzate dall”eventuale aumento dell”Iva sarebbero anche gli artigiani, i commercianti e tutto il popolo delle partite Iva. Queste realtà, infatti, vivono quasi esclusivamente di domanda interna. Con un”Iva più pesante, quasi certamente i consumi subirebbero una contrazione importante, danneggiando queste attività economiche che non hanno ancora superato la fase critica di questa crisi”.

L’ALLARME DEL CODACONS
Effetti disastrosi sui consumi. Questo secondo il Codacons lo scenario che verrebbe a delinearsi con il potenziale aumento delle aliquote Iva. “Una maxistangata, solo per costi diretti, da 791 euro annui a famiglia”. Una presa di posizione molto netta quella dell’associazione dei consumatori che, nelle parole del suo presidente Carlo Rienzi, ricorda come nel nostro paese l’Iva abbia già subito di recente due incrementi, con effetti disastrosi per le tasche delle famiglie e per i consumi.  Rienzi si riferisce al rialzo del settembre 2011, quando l’Iva è passata dal 20 al 21% con un aggravio medio di spesa pari a +290 euro annui a famiglia. Anche nel 2013 ci fu un aumento: dal 21 al 22% con un incremento di spesa pari a +209 euro a famiglia su base annua e per una stangata media da +499 euro annui a famiglia solo di costi diretti. “Il gettito per le casse dello Stato – spiega però Carlo Rienzi – è risultato comunque inferiore alle aspettative, perché i consumatori hanno reagito al rincaro dei prezzi riducendo la spesa”.

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