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Canada: arrestata su mandato Usa, la direttrice finanziaria di Huawei Meng Wanzhou

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La direttrice finanziaria del gigante cinese Huawei, Meng Wanzhou, è stata arrestata a Vancouver, in Canada, a seguito di un mandato di arresto emesso dagli Usa che, ne hanno chiesto l’estradizione. La notizia è stata resa nota dal ministero della Giustizia canadese.

La richiesta di arresto statunitense riguarderebbe violazioni alle sanzioni americane contro l’Iran. L’ambasciata cinese ha chiesto ufficialmente alle autorità canadesi di liberarla. Per la Cina è in corso “una seria violazione dei diritti umani”. “Non siamo a conoscenza di alcun illecito commesso dalla direttrice finanziaria” dichiara Huawei che insiste sul fatto che Pechino non ha alcuna influenza sulla compagnia.

L’arresto di Meng Wanzhou, figlia del fondatore della società, certamente aumenterà le tensioni tra Usa e Cina nel campo tecnologico, dopo la recente tregua sui dazi. Domani è prevista l’udienza in cui il giudice deciderà se rilasciarla su cauzione.

Huawei, uno dei più grandi produttori cinesi di telefonini, è finita nel mirino delle autorità americane per timori legati alla sicurezza. L’acquisto e l’uso di telefonini Huawei è stato addirittura vietato nelle agenzie governative.

Anche in Italia c’è più di una preoccupazione per il rischio di una possibile “invasione” cinese attraverso impianti per le reti di telecomunicazioni costruite nel paese asiatico, come appunto quelle prodotte dalla multinazionale Huawei. Non a caso il tema è al vaglio del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti. Nei giorni scorsi, e dopo aver già sentito il ministro della Difesa Elisabetta Trenta, il Copasir ha posto la questione al vicepremier Luigi Di Maio nel corso della sua audizione. Oggi in Italia gli apparati di Huawei sono dentro le reti di tutti gli operatori, a tutti i livelli: accesso radio, accesso fisso, layer ottico di trasporto.

Praticamente tutto il traffico Internet italiano prima o dopo passa per un router Huawei. Difficile che sia altrimenti, visto che il produttore cinese ha in mano quasi un quarto del mercato mondiale delle infrastrutture per le Tlc. Da noi, poi, la questione potrebbe essere ulteriormente complicata dal fatto che non esistono più operatori di telecomunicazioni di proprietà esclusivamente nazionale. Fastweb è svizzera ma usa router Huawei. Wind Tre è cinese quasi al 100%. Iliad è francese. Vodafone è inglese. Il principale socio di Tim è la francese Vivendi, mentre il primo azionista di Tiscali è una holding russa.

E mentre gli Usa e l’Australia chiudono le loro frontiere e le loro reti di Tlc a Huawei e il Giappone e l’India stanno seriamente pensando di escludere fornitori cinesi dalle gare per le infrastrutture 5G, in Europa da tempo è in corso un dibattito che affronta il problema della sicurezza che nasce dall’affidare le nuove reti di telefonia avanzata al colosso cinese, sospettato da americani e australiani di spionaggio sui dati. In Germania alti funzionari del ministero degli Esteri e dell’Interno hanno già chiesto di escludere Huawei dall’asta per il 5G. Nel Regno Unito un rapporto governativo pubblicato a luglio ha rivelato che la banda larga della società cinese e le attrezzature per le infrastrutture mobili forniscono solo “garanzie limitate” di non rappresentare una minaccia per la sicurezza nazionale.

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