Cristina Mazzotti: si riapre dopo 47 anni l’inchiesta per rapimento e omicidio
2 min readEnnesimo cold case che si riapre in Italia. Dopo 47 anni è stata aperta una nuova inchiesta, la terza, sul rapimento a scopo di estorsione di Cristina Mazzotti, conclusosi tragicamente con l’omicidio della 18enne. Si tratta della prima donna ad essere rapita dall’Anonima sequestri nel Nord Italia. Nel mirino della Procura di Milano ci sono ora quattro indagati della vecchia “mala” del capoluogo lombardo, tutti ritenuti vicini alla ‘ndrangheta e a cui è contestato l’omicidio volontario . Il rapimento avvenne il primo luglio 1975. Era la sera della festa del diploma per Cristina.
La dinamica del sequestro e l’omicidio. Cristina stava rientrando a casa con alcuni amici nella sua villa di Eupilio (Como), quando il malviventi bloccarono la strada alla Mini Minor su cui viaggiava e trascinarono via la giovane, lasciando gli amici legati. Il giorno il padre Helios, un industriale dei cereali agiato ma non così ricco come la banda credeva, si vide chiedere un riscatto di 5 miliardi di lire. L’uomo però riuscì a mettere insieme un miliardo e 50 milioni che, un mese dopo, lasciò in un appartamento di Appiano Gentile in cambio della liberazione della figlia.
Ma la giovane fu trovata cadavere in una discarica di Galliate (Novara), dopo una telefonata ai Carabinieri. Secondo gli investigatori, la giovane fu tenuta prigioniera in una buca, dove Giuliano Angelini, per diversi giorni, aveva iniettato alla ragazza sia sonniferi, per sedarla, sia eccitanti, quando la faceva parlare al telefono con i familiari.
I primi arresti arrivarono grazie alla segnalazione di un direttore di banca svizzero, insospettito da una operazione di 90 milioni di lire. Fu fermato per riciclaggio uno dei banditi, Libero Ballinari, consentendo alle indagini di imboccare la pista giusta che, nel processo a Novara, portò nel 1977 a 13 condanne, otto delle quali all’ergastolo: carcerieri, centralinisti, riciclatori del secondo gruppo lombardo di fiancheggiatori. Non venne però individuato nessuno del primo gruppo calabrese di esecutori materiali e nel 2012 il caso fu archiviato.
Gli elementi nuovi. Una sentenza della Cassazione nel 2015 ha indicato imprescrittibile il reato di omicidio volontario. Un esposto è stato riproposto da Fabio Repici, già avvocato dei Mazzotti e poi parte civile per la famiglia del magistrato torinese Bruno Caccia, ucciso nel 1983 in un delitto in cui, secondo Repici, avrebbe avuto un ruolo Latella. Inoltre i pm Nobili e Civardi, da poco nell’antimafia milanese, contestano a Latella, Talia e Calabrò, oltre all’incensurato Antonio Romeo, l’omicidio della giovane, nel presupposto che “segregandola in una buca senza sufficiente aerazione e possibilità di deambulazione, somministrandole massicce dosi di tranquillanti ed eccitanti”, ne abbiano “così cagionato la morte” proprio mentre il padre pagava il riscatto. Tre di loro hanno scelto di non rispondere, Latella ha confermato le sue ammissioni.