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Garante Privacy: “protezione dei dati, perché la democrazia non degeneri in algocrazia”

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Relazione annuale del Garante per la protezione dei dati personali, nella Sala della Regina di Palazzo Montecitorio a Roma. ”Nel 2020 si è registrato un incremento di circa il 132%, rispetto al 2019, dei casi trattati dal Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia e un aumento del 77% dei casi di vittimizzazione dei minori per grooming, cyber bullismo, furto d’identità digitale, sextorsion”, sottolinea il Garante Pasquale Stanzione aggiungendo che ”La protezione dei dati può rappresentare, infatti, un prezioso strumento di difesa della persona da vecchie e nuove discriminazioni e di riequilibrio dei rapporti sociali”.

”In questo senso, la protezione dei dati si sta dimostrando anche e sempre più determinante per un governo sostenibile della tecnica; perché la democrazia non degeneri, in altri termini, in algocrazia”.

La pandemia osserva inoltre il Garante, ha imposto una correlazione ancora più stringente tra vita reale e digitale. A partire dai primi mesi di lockdown, alle piattaforme digitali, è stata infatti “affidata la stragrande maggioranza delle nostre attività quotidiane; la parte più significativa degli scambi commerciali è avvenuta on-line, persino le prestazioni sociali più rilevanti (dalla scuola all’università, dai servizi amministrativi alla giustizia) sono state erogate da remoto. Il digitale ha, così, dimostrato di poter essere al servizio dell’uomo, ma non senza un prezzo”.

Una necessità che va tutelata. “La pandemia ha dimostrato l’indispensabilità dei servizi da loro forniti ma, al contempo, anche l’esigenza di una strategia difensiva rispetto al loro pervasivo ‘pedinamento digitale’, alla supremazia contrattuale, alla stessa egemonia “sovrastrutturale”, dunque culturale e informativa, realizzata con pubblicità mirata e microtargeting”.

La sospensione degli account Facebook e Twitter di Donald Trump ha aperto un precedente. Ha “rappresentato plasticamente come le scelte di un soggetto privato, quale il gestore di un social network, possano decidere le sorti del dibattito pubblico, limitando a propria discrezione il perimetro delle esternazioni persino di un Capo di Stato”.

E’ questo secondo il Garante, “il nodo di fondo del capitalismo delle piattaforme”: “l’esigenza di una loro cooperazione nell’impedire che la rete divenga uno spazio dove impunemente si possano violare diritti, senza tuttavia ascrivere loro un ruolo arbitrale rispetto alle libertà fondamentali e al loro bilanciamento, da riservare pur sempre all’autorità pubblica”.

Su questo stretto percorso si muove il Digital Services Act (DSA): il testo introduce “forme di responsabilizzazione delle piattaforme, il cui potere di moderazione dei contenuti viene assoggettato ad obblighi di trasparenza e a rimedi impugnatori che ne consentano un sia pur minimo sindacato esterno”.

La privacy, ha quindi aggiunto il Garante, appare paradossalmente sempre meno una mera questione “privata” e, sempre più, un tema di rilievo pubblico centrale, su cui si misura, anche in termini geopolitici, la tenuta dello Stato di diritto.

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