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Hong Kong va avanti con la legge sull’estradizione in Cina. Il 12 nuova mobilitazione

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Il governo di Hong Kong ha annunciato che andrà avanti con l’approvazione della nuova legge che prevede l’estradizione forzata di sospetti criminali in Cina nonostante la protesta oceanica che ha portato in piazza un milione di persone.

Carrie Lam, leader di Hong Kong, non cambia posizione neppure dopo l’oceanica manifestazione con la quale nel weekend centinaia di migliaia di persone hanno chiesto di rinunciare a portare avanti l’iniziativa legislativa sulle estradizioni in Cina.

Pechino, dal canto suo , ha reagito alla protesta sostenendo che dietro di essa si nasconderebbero “forze straniere”. La manifestazione è stata davvero imponente, con ogni probabilità la più partecipata nel Paese da quando, nel 1997, ci fu la restituzione dell’ex colonia britannica alla Cina.

Ma la “chief executive” di Hong Kong, Carrie Lam, non si scompone: “Voglio ringraziare tutti coloro che hanno espresso la loro idea, che siano d’accordo o in disaccordo con noi, perché il controllo del nostro lavoro è un fattore importante per migliorare il governo di Hong Kong”, ha detto, ribadendo tuttavia che la legge andrà avanti, assicurando che “non è stata voluta da Pechino” e che sarà messa in atto nel rispetto dei diritti umani. Il 12 giugno è prevista una nuova mobilitazione.

Lo scontro ha assunto proporzioni sempre più vaste con il passare delle settimane e le motivazioni della battaglia sulla proposta di legge per l’estradizione sono state spiegate al Guardian da un ex-parlamentare e autorevole esponente pro-democratico di Hong Kong, Martin Lee. Questa è “l’ultima battaglia per Hong Kong”, ha detto. “Se la perdiamo, Hong Kong non è più Hong Kong, è solo un’altra città cinese”.

I manifestanti temono un’erosione dello stato di diritto nell’ex colonia britannica, e la possibilità che la Cina possa perseguire gli oppositori politici a Hong Kong: qualora gli emendamenti venissero approvati, in molti temono che Hong Kong non avrebbe la forza di opporsi alle richieste provenienti da Pechino. Ancora più duri i difensori dei diritti umani, che si oppongono agli emendamenti accusando la Cina di detenzioni arbitrarie, tortura e di utilizzare la pratica delle confessioni forzate.

 

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