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La Cina usa il pugno duro contro la dipendenza da videogames: consentiti solo 3 ore a settimana

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La Cina non smette mai di stupire e non esita ad usare le maniere forti anche per risolvere la dipendenza da videogiochi dei suoi giovani. Il governo di Pechino, orami famoso per le sue iniziative autoritarie, ha deciso di imporre un limite di ore in cui i minori potranno dedicarsi al gioco: ovvero solo 60 minuti al giorno, dalle 20 alle 21 dal venerdì alla domenica, per un totale massimo di 3 ore settimanali. In questo modo, secondo la National Press and Publication Administration che ha diffuso l’ordinanza, “sarà protetta la salute fisica e mentale dei più piccoli”. Ma non solo: i fornitori di giochi online sono stati ‘sollecitati’ a non fornire alcuna forma di servizio, a meno che l’utente non si sia registrato con dati reali e riconoscimento facciale.

Chiesta la collaborazione delle amministrazioni della stampa e dell’editoria. A loro è stato chiesto di rafforzare “la supervisione e l’ispezione dell’attuazione delle misure pertinenti per impedire ai minori di dedicarsi ai giochi online e di trattare con le società di videogame che non le hanno attuate rigorosamente in conformità con le leggi e i regolamenti”. Una misura che ha voluto ribadire la necessità di “guidare attivamente le famiglie, le scuole e gli altri settori sociali per tutelare i minori e creare per loro un buon ambiente per una crescita sana”.

Sul fronte dei diritti umani nel mirino la comunità Lgbtq. Secondo gli studenti l’Università di Shangai, starebbe stilando una lista di tutti gli “studenti appartenenti alla comunità Lgbt”. Sotto le spoglie di un sondaggio, l’istituzione ha infatti chiesto ai suoi studenti, di indicare “posizioni ideologiche”, contatti sociali, “condizioni psicologiche” ed eventuali “disturbi mentali”. La denuncia era stata diffusa con un post su Weibo, il principale social network cinese, dove però dopo poco, è stato eliminato. Tuttavia a riprendere e diffondere la denuncia via Twitter è stato il britannico Guardian.

La paura che si stia andando verso una stretta dei diritti Lgtbq, è legata anche alla recente decisione del social network WeChat di cancellare decine di account legati a temi come la lotta all’omofobia. Dal 2020 è stata anche annunciata la chiusura dello Shanghai Pride, unica manifestazione dell’orgoglio gay di rilievo nel Paese.

Dunque continua a crescere il “soft power persuasivo” della propaganda cinese, finalizzata anche a controbattere le accuse per crimini contro l’umanità ed in particolare contro le minoranze etniche, provenienti da una parte della comunità internazionale.

Una recente inchiesta giornalistica del New York Times e Pro Publica, ha messo in luce le strategie relative alla campagna di disinformazione del regime cinese. Tra queste, sono stati ‘smascherati’ oltre 3000 videoclip, diffusi su YouTube e Twitter, che riprendono membri di minoranze etniche come gli – Uiguri, che negano la veridicità delle notizie sulle politiche repressive attuate dal governo contro le loro comunità nello Xinjiang. Di contro accusano Mike Pompeo, ex segretario Usa durante la presidenza di Trump, di aver utilizzato la parola “genocidio” per identificare le politiche di sicurezza in atto nella regione.

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