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Myanmar nel terrore dopo il golpe: nell’ultime ore 38 le vittime per un totale di 50 morti

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In Myanmar continua la brutale repressione dell’esercito contro i manifestanti, che da settimane protestano contro il golpe che il 1 febbraio ha deposto la leader Aung San Suu Ki. Lo stesso esercito che ha assicurato all’Onu di voler svolgere libere elezioni tra un anno.

I morti delle ultime ore sono almeno 38, ma le cifre restano in bilico, anche a causa della difficoltà di comunicazione e del blocco di internet da parte delle forze armate che hanno preso il potere in maniera violenta e illegittima.

Secondo l’inviata dell’Onu, Christine Schraner Burgener: “Siamo arrivati ad oltre 50 morti e molti feriti dall’inizio del colpo di Stato”. Gli agenti hanno sparato proiettili veri a Monywa, Mandalay e Myingyan, a volte senza il preavviso di lacrimogeni e proiettili di caucciù.

Tesissima la situazione anche nel nord di Yangon, nel quartieri di North Okkalapa: dalla zona, a cui le forze di sicurezza hanno vietato l’accesso ai media, sono stati diffusi video di guerriglia urbana, con barricate di fortuna date alle fiamme dalla polizia e foto di giovani uccisi con colpi alla testa.

Oltre ai morti si devono contare centinaia di arresti, che hanno fatto salire il totale ad almeno 1.300. Nel mirino della repressione sono finiti anche i giornalisti. Al momento sono 6 quelli detenuti per reati che vanno dalla diffusione di informazioni false all’incitamento di dipendenti pubblici alla disobbedienza.

Con il Paese ‘off limits’ ai giornalisti stranieri anche per l’emergenza Covid, che ora fa gioco alla giunta, i birmani si appellano al mondo rilanciando sui social media post disperati in cui gli agenti sono definiti “terroristi” e in cui lo sgomento per la brutalità del regime cresce sempre più.

Tuttavia il generale golpista Min Aung Hlaing si è dimostrato finora sordo a qualsiasi appello internazionale, sia a quello da parte dell’Associazione dei Paesi del Sud-est asiatico (Asean), sia di fronte all’esortazione di Singapore per una “soluzione pacifica”. Pure le minacce di sanzioni da parte di Stati Uniti e Unione europea sono state finora inutili.

Anche Papa Francesco ha lanciato un appello  “affinché le aspirazioni del popolo del Myanmar non siano soffocate dalla violenza”. “Giungono ancora dal Myanmar tristi notizie di sanguinosi scontri, con perdite di vite umane. Desidero richiamare l’attenzione delle autorità coinvolte, perché il dialogo prevalga sulla repressione e l’armonia sulla discordia. Rivolgo anche un appello alla comunità internazionale, perché si adoperi affinché le aspirazioni del popolo del Myanmar non siano soffocate dalla violenza. Ai giovani di quell’amata terra, sia concessa la speranza di un futuro dove l’odio e l’ingiustizia lascino spazio all’incontro e alla riconciliazione. Ripeto, infine, l’auspicio espresso un mese fa: che il cammino verso la democrazia intrapreso negli ultimi anni dal Myanmar, possa riprendere attraverso il gesto concreto della liberazione dei diversi leader politici incarcerati”.

Per ora l’immagine simbolo di questa fase della storia del Myanmar, che ha fatto il giro del mondo, rimane la foto della suora saveriana, Ann Nu Twang, che in ginocchio implora le forze dell’ordine in tenuta antisommossa di non sparare.

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