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Serie A, giusto fermare il campionato: intanto si discute sui recuperi del turno 27

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Dopo la scomparsa improvvisa di Davide Astori, il mondo del calcio riprende dai tavoli per discutere le date di recupero degli incontri rinviati ieri, soprattutto il Derby di Milano

Con il mondo del calcio ancora scosso per la scomparsa improvvisa di Davide Astori si prova in qualche modo a guardare avanti per capire come muoversi in termini di recupero gare. Nella giornata di ieri il presidente del CONI Giovanni Malagò avrebbe proposto un recupero di tutte le gare a fine campionato, vale a dire prendendo in considerazione l’ipotesi dello slittamento di una settimana. Un bel problema dato che da lì a poco inizierebbero i mondiali di Russia, con molti giocatori impegnati con le rispettive nazionali. La Gazzetta dello Sport’ apre ad uno scenario differente: la prima gara ad essere recuperata sarebbe Torino-Crotone (martedì 13 marzo), ipotesi accreditabile dato che i granata giocano il venerdì precedente a Roma e potrebbero dunque anticipare al martedì.

Il 14 marzo invece le altre gare in programma: Genoa-Cagliari, Benevento-Verona, Chievo-Sassuolo e Udinese-Fiorentina. Atalanta-Sampdoria si giocherebbe invece il primo mercoledì disponibile perchè il 14 marzo i bergamaschi sono impegnati a Torino con la Juventus nel recupero della gara rinviata per neve.

DERBY DI MILANO- Il punto focale rimarrebbe la permanenza in Europa League dei rossoneri. Se il Milan dovesse arrivare in finale, potrebbe giocare la stracittadina soltanto il 9 maggio, data in cui è prevista la finale di Coppa Italia contro la Juventus. La finale di Coppa Italia slitterebbe dunque a venerdì 25 maggio, a meno che la Juventus non debba giocare la finale di Champions League  in programma il giorno dopo. Con il Milan fuori dall’Europa League , ci sarebbe più scelta e si potrebbe scendere in campo al primo mercoledì libero.Oggi sarà una giornata importante da questo punto di vista, Malagò discuterà con i presidenti delle società di Serie A per trovare una soluzione a questo freddo calcolo aritmetico che purtroppo è necessario operare.

IL CALCIO SI FERMA GIUSTAMENTE-Molto spesso abbagliati da un calcio spettacolare, festante, ricco di soldi, di luci e colori ci dimentichiamo delle persone che quotidianamente operano per fornirci tale spettacolo. Persone dunque, non robot. Persone che aldilà di ogni più infido aspetto economico hanno un’anima ed una mente capaci di scindere gli affari dalla sacrosanta umanità verso il prossimo. A chi dice che ieri si doveva giocare ripetendo la frasetta imparata a memoria ovvero “The show must go on”, possiamo tranquillamente rispondere che in certi casi lo spettacolo si può anche fermare, perchè di spettacolo non si tratta più. Ci sono aspetti umani e psicologici da considerare se si riesce a comprendere che il calcio è uno sport di squadra dove ci sono relazioni, rivalità ma soprattutto grande rispetto per tutti, dal dirigente al giocatore più giovane. E proprio sul rapporto tra giocatori verte la decisione di sospendere tutto: i giocatori se pur impiegati in società diverse si conoscono quasi tutti, magari sono cresciuti insieme nelle giovanili, oppure hanno mangiato insieme o condiviso la stessa stanza anche solo per una stagione. Sicuramente nella giornata di ieri nel 90 per cento dei casi il morale era a terra, l’altro 10 per cento avrà ragionato in maniera più razionale. Nessuno aveva voglia di scendere in campo, nessuno avrebbe dato il massimo, in questi casi le forze vengono meno e non è facile reggere 90 minuti con questo peso sullo stomaco, magari con le lacrime più forti del sudore. Surreale. Prima di parlare bisognerebbe riflettere sul fatto che i giocatori sono ragazzi, pagati tanto ma pur sempre ragazzi, con le loro fragilità e con le paure che molto spesso sono obbligati a nascondere in favore dei riflettori.

Domani si torna in campo con le coppe europee, il calcio dunque non lascia molto tempo a riflessioni di questo tipo ma è anche giusto così perchè la vita va avanti e magari con un po’ più di umanità saremmo tutti più credibili nel dire che ci dispiace.

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