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Strage di via D’Amelio. Giudici: “Investigatori dietro il depistaggio più grave della storia giudiziaria italiana”

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Uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana” con protagonisti uomini dello istituzioni. A dirlo la Corte d’Assise di Caltanissetta, che 14 mesi fa concluse l’ultimo processo sulla strage di via d’Amelio che uccise il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e gli uomini della scorta. 1865 pagine dedicate alle motivazioni del processo Borsellino quater, depositate ieri, in cui si punta il dito contro i servitori corrotti dello Stato che imbeccarono piccoli criminali, elevati a gole profonde di Cosa nostra, costruendo una falsa verità sugli autori dell’attentato a Palermo del 19 luglio 1992.

Il processo ha visto condannati all’ergastolo i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino e a dieci anni per calunnia i falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci. Vincenzo Scarantino, anche lui imputato per calunnia, è uscito dal processo per la prescrizione del reato, scattata perché i giudici gli hanno concesso l’attenuante riconosciuta a chi commette il reato indotto da altri.

Secondo i giudici il depistaggio delle indagini prese vita da “un proposito criminoso determinato essenzialmente dall’attività degli investigatori, che esercitarono in modo distorto i loro poteri”. In particolare si fa riferimento ad Arnaldo La Barbera, funzionario di polizia che coordinò le indagini sull’attentato. La Barbera, nel frattempo deceduto, avrebbe avuto infatti un ruolo determinante nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia.
La Barbera, per i giudici, sarebbe stato inoltre “intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa, come è evidenziato dalla sua reazione, connotata da una inaudita aggressività, nei confronti di Lucia Borsellino, impegnata in una coraggiosa opera di ricerca della verità sulla morte del padre”.

L’agenda, presente nel luogo dell’attentato, “conteneva una serie di appunti di fondamentale rilevanza per la ricostruzione dell’attività da lui svolta nell’ultimo periodo della sua vita, dedicato ad una serie di indagini di estrema delicatezza e alla ricerca della verità sulla strage di Capaci”.

Uno dei moventi del depistaggio, per i giudici, potrebbe essere “l’occultamento della responsabilità per la strage di via D’Amelio, nel quadro di una convergenza di interessi tra Cosa nostra e altri centri di potere” che percepivano come un pericolo l’opera di Borsellino. Per comprendere le finalità, infatti, “non si può prescindere dalla considerazione delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Antonino Giuffrè, che ha riferito che prima di passare all’attuazione della strategia stragista erano stati effettuati ‘sondaggi’ con ‘persone importanti’ appartenenti al mondo economico e politico”. “Giuffrè – spiegano i giudici – ha precisato che questi ‘sondaggi’ si fondavano sulla ‘pericolosità’ di determinati soggetti non solo per l’organizzazione mafiosa ma anche per i suoi legami con ambienti imprenditoriali e politici interessati a convivere e a ‘fare affari’ con essa”.

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