Uno bianca, a trent’anni dalla strage del Pilastro
2 min readEra il 4 gennaio del 1991 quando alla periferia di Bologna, morirono tre carabinieri di vent’anni, massacrati dai killer dalla banda della Uno Bianca. Andrea Moneta, Mauro Mitilini e Otello Stefanini sono questi i nomi dei giovani militari che caddero sotto una pioggia di 222 proiettili in quella che viene tristemente ricordata come la strage del Pilastro. Alla cerimonia in programma quest’anno non potranno esserci i familiari che vivono in altre città, a causa delle norme anti-Covid: “Non partecipare è per noi una grande sofferenza”, questo il commento dello stesso Ludovico Militini.
Oggi, 30 anni dopo, Ludovico Mitilini, fratello di Mauro, chiede di riaprire le indagini perché è convinto che alla ricostruzione della vicenda manchino pezzi importanti. “Siamo di fronte a una verità monca – scandisce Mitilini – ci sono lati oscuri e per questo da parte di alcuni familiari sarà fatta una richiesta formale di riaprire le indagini”. Secondo il fratello di Mauro infatti nella sentenza del 1997 sulla banda che terrorizzò Bologna tra il 1987 e il 1994 ci sono elementi che destano perplessità, testimonianze non valorizzate per quello che erano. Tra i punti segnalati, il fatto che la Corte di Assise ha creduto alla versione dei Savi, ossia i leader del gruppo criminale, che affermarono: “I tre carabinieri furono uccisi per impossessarsi delle loro armi”. Eppure – sottolinea Mitilini – i membri della banda avevano a disposizione un arsenale, non c’era bisogno di rubarle ai carabinieri.
Tra le testimonianze non sufficientemente valorizzate, secondo il fratello della vittima, quelle di chi vide i killer, dopo la strage, salire su un’Alfa guidata da un “quarto uomo” mai identificato. E restano dubbi anche sulle modalità dell’assassinio. “Dopo aver colpito i carabinieri con una pioggia di fuoco – chiarisce ancora Mitilini -, non scapparono, anzi continuarono a sparare assicurandosi che i tre fossero morti. Quindi probabilmente l’obiettivo di quella sera del 4 gennaio 1991 era proprio uccidere tre giovani carabinieri”.
La presidente dell’associazione delle vittime, Rosanna Zecchi, si dice però “un po’ sorpresa” dalle parole di Mitilini: “A febbraio, prima che scoppiasse la pandemia, avevamo fatto una riunione – spiega – e stabilito, tutti insieme, all’unanimità, di aspettare la digitalizzazione degli atti. Poi oggi ha ritenuto di fare queste dichiarazioni, a titolo personale, è libero di farle. Cerchiamo anche noi la verità, il nostro obiettivo è questo, ma non esageriamo. Non abbiamo mai messo in discussione la Procura e quello che ha fatto il dottor Giovannini”, ossia il pm che fece le indagini sui delitti bolognesi e che ha auspicato, come la Zecchi, che gli atti vengano presto digitalizzati.