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Intervista a Stefano Senardi nuovo mecenate su “Piazza delle Arti”

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PIAZZA DELLE ARTI è un progetto unico e gratuito che, per la prima volta, vuole mettere in contatto artisti e aspiranti mecenati. L’idea nasce da un gruppo di italiani, tra cui professionisti dell’arte, che in tempo di crisi hanno deciso di fare una scommessa: “Aiutare gli artisti nella ricerca di nuovi spazi dove esporre e nel contempo fornirgli lo strumento giusto per cercare persone disposte a scommettere ed esaltare il loro talento”.

Attualmente sono oltre 1800 gli artisti che in pochi mesi hanno caricato e “messo in mostra” oltre 11.000 opere sulla piattaforma. Art-News ha incontrato uno dei nuovi mecenati di Piazza delle Arti, il discograficoStefano Senardi.

Quali sono gli obiettivi di “Piazza delle Arti”?

Piazza delle Arti ha come obiettivo quello di “avvicinare il grande pubblico all’arte”. Nasce con l’intento di semplificare ed accorciare le distanze fra noi, operatori del settore, e gli artisti. Nello specifico ci da la possibilità di avvicinarci ad una quantità cosi importante e così diversa di artisti che normalmente non riusciremmo a frequentare, senza per questo però, volerci sostituire a quelli che fanno questo mestiere ad alti livelli ed in maniera professionale.

Sono oltre 1800 gli artisti che in pochi mesi hanno caricato e “messo in mostra” oltre 11.000 opere sulla piattaforma. Ti aspettavi un feedback del genere? 

Questa piattaforma ha superato le aspettative di tutti, me compreso. Un feedback del genere in così poco tempo non era prevedibile , ma io come tutti gli altri, credo fortemente in questo progetto e mi aspetto ancora molto di più.

Partiamo dai tuoi inizi, a soli 13 anni consigliavi al proprietario del negozio di dischi vicino casa quali lp ordinare, poi da lì…

Poi da lì, credo che semplicemente la mia passione abbia coinciso con un pò di fortuna, con molta tenacia ed anche tanto coraggio. Potrei dirti che tutto è cominciato quando ho risposto ad un annuncio sul Corriere della Sera, dove cercavano una persona automunita, militesente, che conoscesse l’inglese e fosse residente a Bologna. Non avevo nessuno dei quattro requisiti richiesti ma sono riuscito a convincerli che, anche se non ero la persona che stavano cercando, lo sarei diventata. Sono stato così assunto alla CGD che successivamente è stata acquistata dalla Warner, sono passato poi alla Polygram e sono diventato presidente. Intorno ai 40 anni, ero il più giovane presidente di una casa discografica d’ Europa .

Come ci si sente a raggiungere un traguardo del genere? 

Esattamente come ci si sentiva a quei tempi. Ti cambia il mondo intorno e te ne senti responsabile. Cerchi di fare qualcosa, di farla in meglio, e soprattutto di fare quello che magari qualcuno non ha fatto in precedenza con te. Si migliora si, per se stessi ma anche e soprattutto per la gente che lavora per te e con te,

Un artista su tutti, di cui conservi un bel ricordo?

Ce ne sono molti, ma se dovessi fare un nome, uno su tutti è sicuramente Franco Battiato. Il nostro è iniziato come un rapporto lavorativo ma negli anni si è trasformato in una vera e solida amicizia. Ci vediamo spesso, nonostante lui non viva a Milano e ci capita di fare anche le vacanze assieme.

Il tuo giudizio sui talent show? 

Da una parte dico che ai talent show si diventa “prima famosi e poi bravi”  dall’altra invece, penso che in questo momento storico si sta facendo di “una necessità virtù” ma non è sufficiente. Oggi con la crisi che l’industria discografica attraversa, non si investe più facilmente nelle nuove proposte ed ecco quindi che i talent si rivelano essere una delle poche possibilità che un artista ha e deve sfruttare al meglio per emergere. Ma come dicevo poc’anzi tutto questo non è abbastanza. L’artista va seguito, se lo si segue male, se si gestisce da solo e non lo fa bene, o magari non è ben consigliato ma soprattutto se non studia e non si da fare per sfruttare la grande occasione che ha avuto, il sogno di realizzarsi in questo campo svanirà in poco tempo.

 Come si individua il talento in un artista?

Non esiste, a mio avviso, una regola vera e propria ma il tutto dipende da una serie di fattori. Un artista per emergere è importante che abbia una propria unicità, una caratteristica sua peculiare forte, una personalità ben definita, non devono poi mancare, volontà, impegno e senso dell’ humor. Ovviamente è determinante che alla base ci siano delle doti naturali.

Che rapporto hai con i social network?

 Direi buono. Utilizzo sia Twitter che Facebook, ma ne faccio un uso molto semplice, per me è un gioco e come tale mi diverto.

Hai fatto parte della commissione artistica che ha selezionato i brani dei Big e dei Giovani del 64° Festival di Sanremo. Che ricordo hai di quell’esperienza?

E’ stata un’esperienza assai piacevole, nonostante non siano venuti a mancare momenti di pressione. Il nostro gruppo era ben affiatato e l’armonia che si era creata ci ha consentito di lavorare al meglio. Per quanto riguarda il mio compito, è stato relativamente difficile selezionare soprattutto i giovani, in quanto di proposte interessanti ce n’erano davvero tante. Purtroppo avevamo un limite da rispettare:soli 8 artisti di cui due provenienti dall’Accademia di Sanremo. Però quello che ho cercato di fare è stato premiare una linea a metà strada, una linea meno classica e più originale .

Hai un rimpianto nella tua carriera? 

 Più di uno, ma in questo momento il primo che mi viene in mente è stato quando ho avuto l’occasione di ascoltare il provino di “Perdono” di Tiziano Ferro. Era evidente già allora il talento e il prevedibile successo di quel singolo, ma all’epoca ero convinto si potesse aspettare ancora un altro pò, ed in più avevo un altro  giovane artista da produrre. Visto comunque il risultato e la carriera di Tiziano Ferro mi è dispiaciuto tantissimo non aver colto subito quell’occasione che alla mia piccola etichetta sarebbe stata utile. E’ stata solo una questione di tempi sbagliati ma non di un talento non riconosciuto.

C’ è una persona a cui senti di dover dire “grazie”?

A parte Caterina Caselli a cui sono legato da un profondo affetto e da una profonda stima, sono varie le persone con cui ho legato e mi hanno insegnato tanto. A partire dai dipendenti, ai colleghi e ai miei superiori, quelli all’estero in particolare . Ho avuto un paio di  capi davvero interessanti che mi hanno insegnato a ragionare come dire “non all’italiana”.  

Che differenza c’è fra il mondo della discografia italiana e quella estera?

La vera differenza è che la discografia del nostro paese resta molto imprigionata intorno a se stessa. Quella italiana ha meno risorse mentre quella estera ha possibilità di viaggiare di più proprio per la natura stessa del prodotto, anche grazie alla lingua viaggia più facilmente. I grandi network radiofonici ad esempio sono molto più vicini a questo genere di produzioni ed è inutile negarne anche la qualità.

Un sogno ancora da realizzare?

Ce ne sono ancora tanti, vorrei poter riuscire a fare qualcosa di unico. Un sogno forse che non mi è mai riuscito è voler mettere insieme un quartetto: Fabrizio De Andrè, Ivano Fossati, Francesco Guccini e Francesco De Gregori. Purtroppo siamo rimasti fermi ad una conversazione in un pomeriggio fantastico con Fabrizio. Intanto sono molto tentato dall’ occuparmi di un progetto artistico a 360 gradi e anche di qualcosa a livello televisivo.

Per maggiori info www.piazzadellearti.it

Carmen De Sio

Email: c.desio@art-news.it

Twitter:CARMENDESIO

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