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Bilaterale Biden-Xi, prove di disgelo a San Francisco ma restano nodi

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“Costruttivi e produttivi”. Joe Biden ha sintetizzato così i colloqui avuti con Xi Jinping nelle 4 ore di faccia a faccia, avviate con una stretta di mano nella storica tenuta di Filoli, alle porte di San Francisco. I due presidenti non si vedevano dallo scorso novembre quando si sono incontrati a margine del G20 di Bali. L’obiettivo era avviare il disgelo dopo l’interruzione del dialogo diplomatico da parte di Pechino su alcuni fronti cruciali quali quello militare e climatico come ritorsione per la visita di Nancy Pelosi a Taiwan.

“Bello rivederla, non c’è nulla che possa sostituire le discussioni faccia a faccia”, ha esordito Biden aprendo il dialogo. Un modo per “capirsi reciprocamente in modo chiaro e far sì che la competizione non sfoci in conflitto” ha spiegato il leader della Casa Bianca. E per “superare le differenze” in un mondo “abbastanza grande per la convivenza e per il successo di Cina e Usa”, che “non possono voltarsi le spalle”, gli ha fatto eco il presidente cinese.

Sul tavolo del bilaterale diversi temi. Dalla guerra in Medio Oriente a quella in Ucraina, fino alla possibile collaborazione per un accordo sull’impiego responsabile dell’intelligenza artificiale in ambito militare e una stretta cinese sulla produzione della droga sintetica oppiacea fentanyl. Poche ore prima del summit è arrivato il primo, decisivo, segnale di collaborazione, con la firma di una dichiarazione comune in cui Pechino e Washington si impegnano a lavorare insieme contro “una delle più grandi sfide del nostro tempo”, ovvero quella climatica. Tema sul quale i colloqui tra le due potenze più inquinanti al mondo erano congelati da oltre un anno. Con questa dichiarazione Cina e Usa intensificheranno la cooperazione sul metano e sosterranno gli sforzi globali per triplicare l’energia rinnovabile entro il 2030.

Ma se il dialogo è ripreso, restano diversi nodi e tensioni: da Taiwan ai rapporti economici, minati per la Cina dalle sanzioni e dalle limitazioni Usa all’export hi-tech e per Washington dalla mancanza di parità di condizioni competitive.

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