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Parigi: qualcosa è cambiato

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Il 13 Novembre, in Europa qualcosa è cambiato. Cosi come avvenne in America l’11 settembre del 2001, un giorno che sarebbe dovuto essere uguale a tanti altri, ha segnato un punto di non ritorno.

L’attacco da parte di alcuni terroristi a Parigi, ci spaventa più di quanto avremmo potuto immaginare una settimana fa. Gli attentatori dell’ISIS, per quanto storicamente si siano voluti distanziare da Al Qaida, il noto movimento islamista sunnita paramilitare che nel 2001 rivendicò la paternità degli attacchi terroristici di New York e Washington, ha preso da loro il gusto per la spettacolarizzazione del male.

Se 14 anni fa rimanemmo tutti inchiodati davanti agli schermi ad assistere alla tragedia delle torri gemelle, venerdì sera le immagini in diretta da Parigi sono state meno cruente di quanto gli attentatori avrebbero voluto, solo perché non sono riusciti ad entrare all’interno dello stadio dove la nazionale di calcio francese era impegnata in quella che, calcisticamente, si sarebbe definita un’amichevole di lusso contro la Germania.

L’obiettivo degli attentatori è stato quello di trasmettere un messaggio di paura collettiva: “la vostra vita non è più al sicuro”. Hanno colpito in un ristorante, in un bar, in una sala da concerto e avrebbero voluto farlo allo stadio, in modo che ognuno di noi, francese, inglese, italiano o tedesco, potesse rendersi conto che quello che è accaduto, sarebbe potuto capitare a noi stessi, o peggio, a qualcuno a cui noi teniamo.

Quello che sono riusciti a mettere in pratica è decisamente peggiore delle minacce di prendere Parigi o Roma, o come recita la loro propaganda, occupare Madrid entro il 2020. Quello che hanno fatto, ha palesato che i terroristi sono in mezzo a noi, e potrebbero colpire da un momento all’altro in qualsiasi città. Questa insicurezza non appartiene ai cittadini europei da molti anni. L’idea di non poter girare serenamente in una città come Parigi è semplicemente agghiacciante.

Nell’immaginario collettivo la capitale francese è la città dell’amore. Non esiste una coppia di innamorati che non abbia desiderato almeno una volta passeggiare lungo la senna, o sotto la tour Eiffel. Ma da Venerdì Parigi non è più la stessa. La gente è barricata in casa, i turisti non vedevano l’ora di fuggire via da una città che non era più sicura.

Hanno iniziato ad alzarsi voci che chiedono vendetta, voci inquietanti, preoccupanti. Si cerca di identificare il nemico e purtroppo si finisce, spesso, con il generalizzare. Il fatto che i terroristi si siano appropriati del termine Stato Islamico, non fa di tutti i musulmani dei terroristi. Tutt’altro. Purtroppo torna di moda quel famoso scritto di Oriana Fallaci, ma ci si dimentica troppo velocemente delle risposte che quell’articolo suscitò già 14 anni fa.

Questo astio, questa avversione, arriva da certi ambienti in Italia come in Europa, che evidentemente hanno difficoltà ad imparare dalla storia recente e passata, e non fa altro che ingrossare le fila dei terroristi che utilizzano questa discriminazione come propaganda anti-occidentale.

I terroristi fanno leva su questi sentimenti per convincere ragazzi che sarebbero prima di tutto europei, a lasciare le loro case e le loro famiglie per raggiungere i campi di addestramento dove diventare futuri attentatori nelle città in cui sono cresciuti e dove vivono ancora i loro genitori. Dietro le stragi di Venerdì ci sarebbe la mano di Abdelhamid Abaaoud, un 27enne Belga, di origine marocchine, i cui genitori per 40 anni hanno lavorato in Belgio per cercare di integrarsi. I commando che hanno seminato il terrore sparando su degli innocenti e facendosi saltare per aria in nome di Allah, erano tutti ragazzi europei.

E mentre ancora si procedeva all’identificazione dei 129 morti degli attentati, la Francia, di comune accordo con gli Stati Uniti, ha bombardato Raqqa, capitale dello Stato Islamico e pertanto luogo simbolo dell’ISIS. L’intento sarebbe quello di distruggere quest’organizzazione cercando i responsabili in Siria ed in Iraq, dove il califfo Al-baghadadi, recluta e addestra questi aspiranti terroristi.

Questo purtroppo riporta alla memoria scenari non così remoti. Dopo l’11 settembre gli Stati Uniti d’America dichiararono guerra all’Afghanistan, rea di ospitare Al Qaeda ed il suo capo Osama Bin Laden. Enduring Freedom, questo era il nome dell’operazione, avrebbe dovuto impedire nuovi attentati terroristici. La realtà dei fatti però dice che, se è vero che in poco più di 3 mesi gli Stati Uniti e l’esercito alleato riuscirono a conquistare le principali città Afghane, è altrettanto vero che dopo 14 anni l’esercito Americano ancora non può lasciare quei territori e che Osama Bin Laden è stato ucciso solo 10 anni dopo l’inizio dell’operazione militare, peraltro in Pakistan, dove si era rifugiato e da dove continuava a comandare le attività terroristiche che non sono affatto diminuite, al punto da giustificare una seconda guerra, questa volta in Iraq.

Proprio da questa scellerata operazione militare, voluta da George W. Bush per eliminare la dittatura di Saddam Hussein, è nata l’ISIS, che oggi spaventa il mondo intero e che l’attuale presidente degli Stati Uniti Barack Obama non ha esitato a definire “il volto del male”. Lo stesso Obama ieri ha ricordato che attaccare lo stato Islamico in Siria e Iraq non è sufficiente, che sarebbe un errore inviare truppe in Siria e che, invece, è fondamentale riuscire a ridurre le loro fonti di finanziamento.

Dal canto nostro, per quanto la paura è un sentimento che difficilmente si può riuscire a controllare, prendiamo in prestito le parole di Vittorio Arrigoni, e per quel che possiamo “restiamo umani”.

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