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Wwf: in 50 anni distrutto il 69% della fauna selvatica

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Le popolazioni di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci sono calate in media del 69% dal 1970, nel mondo, e in America Latina e nei Caraibi la perdita di fauna selvatica ha raggiunto il 94%.

Il Living Planet Report del Wwf monitora quasi 32mila popolazioni di 5.230 specie di vertebrati e lancia un appello per la Cop15 di dicembre: “Ci aspettiamo un ambizioso accordo in grado di invertire la perdita di biodiversità. Una doppia emergenza, il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, minaccia il benessere delle generazioni attuali e future“, dichiara il direttore generale del Wwf, Marco Lambertini che aggiunge: “Il Wwf si è detto estremamente preoccupato da questi nuovi dati che mostrano un calo devastante delle popolazioni di fauna selvatica, in particolare nelle regioni tropicali che ospitano alcune delle aree più ricche di biodiversità al mondo”.

Fra le specie monitorate dal Living Planet Report ci sono i delfini rosa di fiume dell’Amazzonia, le cui popolazioni sono crollate del 65% tra il 1994 e il 2016 nella Riserva brasiliana di Mamirauá. Ci sono poi i gorilla di pianura orientale, il cui numero ha subito un declino stimato dell’80% nel Parco nazionale di Kahuzi-Biega, nella Repubblica Democratica del Congo, tra il 1994 e il 2019, e i cuccioli di leone marino dell’Australia meridionale e occidentale, il cui numero è calato di due terzi tra il 1977 e il 2019. Complessivamente, come gruppo di specie, la riduzione maggiore riguarda le popolazioni d’acqua dolce monitorate, diminuite in media dell’83% a causa della perdita di habitat e delle barriere alle rotte migratorie.

Secondo il Living Planet Report, le principali cause del declino delle popolazioni di fauna selvatica sono molteplici. Si va dai cambiamenti nell’uso del suolo e del mare allo sfruttamento eccessivo di piante e animali, dal cambiamento climatico all’inquinamento e alle specie aliene invasive, alle minacce provenienti da agricoltura, caccia e bracconaggio, e deforestazione, particolarmente gravi ai tropici. I punti in cui si concentra l’inquinamento sono particolarmente allarmanti in Europa.

A meno che non limitiamo il riscaldamento globale a meno di 2°C, o preferibilmente 1,5°C, è probabile che il cambiamento climatico diventi la causa principale della perdita di biodiversità e del degrado degli ecosistemi nei prossimi decenni. Il rapporto del Wwf indica che solo aumentando gli sforzi di conservazione e ripristino sarà possibile mitigare la doppia crisi di clima e natura. Il che significa produrre e consumare, in particolare il cibo, in modo più sostenibile e decarbonizzare rapidamente e profondamente tutti i settori.

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