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Giovani: sì al lavoro, ma non troppo

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I giovani non sono o non saranno probabilmente degli “stakanovisti”: non hanno intenzione di trascorre gran parte del proprio tempo sul posto di lavoro. Considerano infatti il tempo libero un bene prezioso. Sui social network si sta diffondendo il fenomeno del “quiet quitting”, ossia lavorare, senza stressarsi. Il fenomeno sta prendendo piede anche in Paesi super produttivi come Usa e Cina, dove si chiama “mo yu”, ossia la filosofia di “toccare i pesci”.

Preferire dunque la salute mentale allo stress lavorativo e mettere al primo posto la vita, che il più delle volte è uso comune tralasciare per spendere tutte le proprie energie e “fare carriera”. Per i giovani, a oggi, mettere tutto il proprio impegno nel lavoro non paga: ottenere risultati e promozioni ormai è complicato e non è detto che ne valga la pena.

La colpa di questo “cambio di trend” va al Covid che, se da una parte ci ha tolto il piacere della socialità, dall’altra ci ha messi davanti alla realtà della nostra esistenza, breve e fragile, obbligandoci a sperimentare i benefici dello smart working. La generazione di cui parliamo è quella di ventenni che si esprimono in tutta libertà con il mondo digitale all’insegna di TikTok e hashtag. E che, senza peli sulla lingua, a dispetto di chi pensa sia una “scusa” per non affaticarsi troppo, dicono di rifiutare, o quanto meno di non voler prendere seriamente il mondo del lavoro.

Secondo la Gallup che ha realizzato uno studio intitolato “State of the global workplace 2022 Report” risulta che solo il 21% dei dipendenti è davvero coinvolto nelle proprie mansioni e solo il 33% si considera in una condizione di crescita e benessere. Il 44% si sente invece stressato e la maggior parte non pensa che la sua occupazione abbia davvero uno scopo o un significato profondo. In Paesi come la Gran Bretagna la situazione è davvero critica: il 9% dei lavoratori si considera entusiasta.

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