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Hong Kong: Le rivolte non si placano

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È stata sicuramente un’estate di fuoco per l’ex colonia britannica, con milioni di persone scese in piazza a protestare contro una legge considerata ingiusta – ed ora ritirata – sull’estradizione verso la Cina. Da questo sono poi scaturite altre richieste, trasformando la protesta in una lotta per la democrazia.

Lotta che non accenna a smettere e che nelle ultime settimane si è fatta sempre più violenta, a seguito anche del comportamento della polizia, che non si è fatta scrupoli nell’utilizzare cannoni ad acqua, gas lacrimogeni e armi che hanno causato centinaia di feriti. Emblematico il caso di uno studente colpito da un colpo di pistola ravvicinato che ha scatenato l’indignazione dei cittadini e ha provocato un’ondata di proteste ancora più incisive e che hanno di nuovo colpito centrali di polizia, le metro della città e altre strutture pubbliche.

La settimana scorsa inoltre il governo di Hong Kong ha invocato l’emergenza, rispolverando una legge che non si usava da oltre mezzo secolo e ha bandito l’uso di maschere per il volto, simbolo dei dimostranti. Questo ha di nuovo portato i manifestanti per le strade e nei centri principali di Hong Kong, con un conseguente uso della violenza da parte di entrambe le fazioni in campo.

I manifestanti, ormai definiti terroristi dal governo centrale, chiedono:  Il ritiro della definizione “riot” ovvero rivolta dalle proteste e dunque delle accuse, amnistia, un’inchiesta sulle azioni della polizia, il suffragio universale per le elezioni del Chief Executive (ruolo attualmente ricoperto da Carrie Lam) e del parlamento di Hong Kong. C’è chi chiede anche le dimissioni dell’attuale governatrice, considerata una marionetta nelle mani di Pechino. Richieste ignorate dal governo che le ritiene inattuabili. Ma oltre a queste pulsioni democratiche, si nasconde un malcontento generale causato dal divario sempre più ampio tra ricchi e poveri dell’ex colonia britannica e dai prezzi insostenibili delle case che costringe molti a condividere pochi metri quadrati con altre famiglie.

Le libertà e lo stile di vita capitalista consolidato e acquisite durante il governo britannico entrano in contrasto con le politiche di Pechino ma allo stesso tempo hanno causato delle pressioni e contraddizioni interne che in questi mesi stano venendo a galla. La spinta democratica era emersa anche in passato, fin dal passaggio di consegne nel 1997 e quattro anni fa con il movimento Occupy Central. In gioco c’è il futuro della penisola, il suo centro commerciale e finanziario – già colpito da questi mesi di proteste – i rapporti con l’occidente, la libertà di espressione, che permette agli abitanti di Hong Kong di commemorare piazza Tienanmen o di utilizzare il web liberamente, compreso social e strumenti come le VPN.

La Cina ha già messo in guardia i paesi occidentali su possibili interferenze ed ha già proibito la trasmissione di programmi con la NBA, South Park, e scagliandosi ora anche contro aziende tech come Apple. E mentre le proteste non accennano a diminuire, governo e popolazione sono sempre più insofferenti uno con l’altro, lasciando poco spazio alle manovre diplomatiche e gettando sempre più nel caos Hong Kong.

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